Lo yoga con otto rami dell’insegnante di yoga Dan Bozaru
Continua dall’articolo 1, che puoi trovare a questo link
Le otto fasi del processo del divenire spirituale sono:
- Yama (le cinque regole dell’ordine morale)
- Niyama (le cinque regole etiche)
- Asana (le posizioni fisiche del corpo)
- Pranayama (controllo dei respiri sottili attraverso la respirazione ritmica)
- Pratyahara (ritiro dei sensi dalla percezione degli oggetti circostanti)
- Dharana (concentrare l’attenzione su un singolo punto)
- Dhyana (meditazione)
- Samadhi (estasi divina)
Un processo preliminare e necessario nella pratica del sistema yoga è la “purificazione degli elementi”, con cui il microcosmo dell’essere umano viene “omologato” all’intero macrocosmo, diventando così un “veicolo” puro e pronto per la manifestazione pienamente consapevole della Realtà Suprema che è il Sé eterno, l’Atman. Questa “purificazione” si ottiene in due modi.
La prima si riferisce alla “Contemplazione della dissoluzione degli elementi“, con la quale lo yogi visualizza la graduale dissoluzione dei successivi principi di manifestazione nel proprio essere, fino a raggiungere l’unione beatifica di tutte queste energie formative nella suprema dimora della trascendenza divina (Sahashrara).
Il secondo metodo di meditazione sul processo di dissoluzione delle categorie energetiche (tattva) (che coinvolgono la diversità dei tipi di energie sensoriali, mentali e fisiche) nella Suprema Realtà Trascendente è la meditazione sul Terribile Fuoco della Coscienza di Shiva.
Kśemaraja specifica che lo yogi dovrà visualizzare questo Fuoco che brucia completamente qualsiasi manifestazione duale. Pertanto, deve fare pieno uso della sua immaginazione creativa per avviare e poi amplificare questo processo di divenire spirituale. Questa azione sottile particolarmente efficace è menzionata nel sutra 52 del famoso trattato Vijnanabhairava: “Visualizzate la fortezza del vostro essere come se fosse bruciata dal Fuoco del Tempo (Kalagni), che scaturisce dalla Sacra Dimora del Tempo; allora, alla fine di questo intenso processo di purificazione, si manifesterà la Pace Sublime ed Eterna (del Sé Immortale, Atman)”.
La fiamma del Tempo rivela la Luce Divina
La tradizione shivaita afferma che il Fuoco del Tempo (Kalagni) ha origine nella parte più bassa dell’Uovo cosmico (brahmanda), sotto i mondi infernali. Questo Fuoco è “in una barca che galleggia sulle acque causali che sostengono l’Uovo cosmico (brahmanda)”. Le sue fiamme formidabili salgono verso i mondi infernali, riscaldandoli intensamente e irradiando allo stesso tempo la loro energia sacra in tutto il macrocosmo. Nella resa metaforica dei cicli della Creazione, la tradizione spirituale shivaita afferma che, alla fine di un ciclo, queste fiamme del Fuoco del Tempo (Kalagni) si levano alte e distruggono il vecchio ordine cosmico, lasciando così spazio a una nuova Manifestazione.
A livello microcosmico, lo yogi riproduce questo processo proiettando mentalmente i fonemi dell’alfabeto sanscrito sulle varie parti del corpo in una sequenza prestabilita, partendo dall’alluce del piede sinistro fino alla sommità del capo (Sahasrara). Man mano che il processo di meditazione diventa sempre più profondo, lo yogi dovrebbe visualizzare il Fuoco del Tempo che brucia gradualmente la sua coscienza corporea, insieme all’intero universo delle percezioni differenziate, lasciando dietro di sé le “ceneri bianche” della luce divina indifferenziata. Kśemaraja considera questo tipo di meditazione come uno dei rami importanti del programma di pratica individuale dello yogi. Specifica inoltre che le altre branche sono le posture (asana), il controllo e il ritmo del respiro (pranayama), la concentrazione (dharana), la meditazione (dhyana) e l’estasi divina o contemplazione (samadhi). Vediamo brevemente ciascuno di questi aspetti della pratica yogica nella visione dello Shivaismo del Kashmir.
Considerando che i primi due stadi (yama e niyama) dell’Ashtanga Yoga (yoga a otto rami) sono già conosciuti e integrati dallo yogi nella propria concezione e nel proprio mondo interiore, e che un terzo ramo (meditazione del Fuoco del Tempo) è già stato presentato in precedenza, descriveremo ora lo stadio (o ramo) che si riferisce alle posture (asana).
L’unità della coscienza si mostra tra due respiri
Lo Shivaismo in Kashmir ha una visione trascendentale dell’esecuzione delle posture fisiche, in quanto questo sistema (quando usa il termine asana) non si riferisce necessariamente ad una postura del corpo, ma essa (cioè la postura o asana) rappresenta piuttosto la dimora finale, il luogo o la posizione (asana) (la cui origine è la Coscienza Infinita di Dio Padre) in cui lo yogi arriva a stabilirsi saldamente. Quindi, deve concentrare la sua attenzione sul periodo che viene dopo un’espirazione, ma che allo stesso tempo precede l’inspirazione successiva (in altre parole, sul momento tra due respiri successivi).
Lo yogi cerca in questo modo di assorbire il flusso discontinuo della sua coscienza nell’unità indistruttibile della conoscenza suprema, che sorge e si manifesta come il soffio ascendente del respiro (udanaprana) dal canale energetico sottile sushumna tra due respiri successivi. L’aspetto pranico di questo respiro sottile (udana) scompare mentre esso (il respiro) sale e lo yogi sperimenta l’emergere spontaneo dell’onniscienza della coscienza nel proprio essere. Come naturale conseguenza del raggiungimento di questo livello di realizzazione, la mente ritorna alla sua natura originaria, dissolvendosi in se stessa e “comprendendo” così l’aspetto misterioso e grandioso dell’onnipresenza di Dio Padre. Lo shivaismo kashmiro associa quindi l’asana più al “luogo” finale in cui si stabilizza la coscienza individuale dello yogi, e non si riferisce necessariamente alla postura fisica del corpo, anche se questa può comunque fornire un supporto adeguato alla realizzazione dell’unità della coscienza.
Il controllo del respiro purifica la mente
Per quanto riguarda la quinta branca del sistema classico dello yoga nella pratica individuale, essa riguarda il controllo del respiro (pranayama). Secondo lo shivaismo kashmiro, per ritmare il respiro, lo yogi deve prima purificare molto bene i canali energetici sottili ida e pingala (ad esempio attraverso la tecnica del nadishodanapranayama), che renderanno il movimento del respiro nel corpo fermo e uniformemente distribuito. Poi, senza cercare di controllare il respiro in alcun modo, essendo in armonia con il movimento del respiro, la durata di ogni inspirazione ed espirazione cambia in modo tale che a un certo punto diventano uguali. Questo coinciderà con la loro fusione in un unico flusso diretto sul sushumnanadi. I saggi dello shivaismo kashmiro ritengono che questo sia il momento in cui inizia davvero la pratica del pranayama.
Con la mente purificata e tranquilla, lo yogi ritorna, in un certo senso, allo stato prenatale, poiché il respiro fisico è completamente interiorizzato. In altre parole, il respiro non passa più attraverso i polmoni, ma risuona direttamente con la fonte universale (o focolaio macrocosmico) della vitalità sottile. Essendo a un livello molto avanzato di pratica, lo yogi sperimenterà il sottilissimo movimento del respiro dal Cuore (come centro essenziale della spiritualità, come sede della coscienza del Supremo Sé Indivisibile) nell’area 12 dita sopra la sommità della corona (dvadashanta), dove si dissolverà nel Supremo Vuoto Trascendente.
Attraverso il processo di attenzione si acquisiscono tutti i poteri paranormali
Così liberato dalla sua grossolana forma esteriore, il respiro (soffio sottile) si muove liberamente lungo il canale sottile centrale (sushumna nadi) e poco dopo trascenderà anche questo movimento sottile per fondersi nell’eternità con la vibrazione suprema della coscienza di Shiva. Allora il respiro dello yogi diventa un tutt’uno con il movimento (pulsazione) della creazione e della dissoluzione dei mondi (spanda). La fase successiva si riferisce alla ferma concentrazione dell’attenzione (dharana). Il metodo shivaita prevede che lo yogi fissi la sua attenzione sui centri sottili di forza (chakra) corrispondenti alla manifestazione energetica dei cinque elementi (mahabhuta).
In questo modo il soffio vitale viene diretto successivamente a questi centri, a partire dal Cuore della Coscienza, per rinvigorire e stimolare la loro sottile attività energetica. Dapprima il respiro si dirige verso la residenza di prithivi tattva (terra) nel Muladhara Chakra, che controlla lo sviluppo del sistema scheletrico e quello della massa muscolare del corpo; poi si sposta a livello di Swadhisthana Chakra (in correlazione con apas tattva) (acqua), responsabile dell’equilibrio dei fluidi nel corpo; quindi il respiro si sposta nel Manipura Chakra, dove risiedono tejas tattva e l’elemento “fuoco”, che ha come funzione principale la digestione degli alimenti e i processi anabolici e catabolici dell’organismo.
Segue poi il movimento del respiro ai livelli di Anahata Chakra (in correlazione con vayu tattva) (l’elemento sottile aria), che controlla il movimento dell’”aria” (sostanze gassose) da e verso le cellule del corpo attraverso la circolazione sanguigna. Quando lo yogi ha acquisito il controllo di queste quattro forze degli elementi terra, acqua, fuoco e aria, fa sì che il suo respiro salga dal livello del Cuore alla sommità del capo, diventando così un tutt’uno con l’Etere Supremo, che è, di fatto, lo spazio stesso della Coscienza Suprema di Shiva. Questa condizione conferisce allo yogi qualsiasi potere paranormale nella Manifestazione.
Siete un tutt’uno con il Supremo Assoluto
La meditazione (dhyana) è lo stadio successivo e la sua forma più elevata consiste nell’arrestare il flusso delle qualità (guna) di Prakriti, creando così l’ambiente per lo stato contemplativo di assorbimento profondo della mente. L’oggetto di questa meditazione è il puro e supremo soggetto cosciente (Shiva), che è onnipresente, onnisciente, onnipotente e che esiste attraverso se stesso (in altre parole, la cui natura è nota solo a se stesso). Lo yogi raggiunge questo stato supremo di coscienza dissolvendosi in una totale identificazione nel flusso di coscienza che risplende nella Luce divina indifferenziata, illuminando beatificamente la sua natura essenziale in ogni momento.
Lo stadio finale dell’ashtanga yoga è la contemplazione o suprema estasi divina (samadhi), che si verifica quando lo yogi realizza l’unità tra la sua coscienza individuale e l’universo circostante, che è fondamentalmente la consapevolezza della piena identificazione della coscienza individuale con l’Assoluto Supremo (Paramashiva).