dall’insegnante di yoga Gregorian Bivolaru

“Gloria a Parameshvara, il Signore Supremo; la sua grandezza, la cui essenza è la felicità, risplende attraverso la grazia di Pashyanti, il cui dolce sussurro ha conquistato il suo cuore non appena l’ha vista! – Stavacintamani, 1.

La voce melodiosa di Uma Pashyanti, l’amante di Shiva, è l’unica in grado di cantare l’ineguagliabile grandezza di Dio. Il suo sguardo contemplativo non è altro che il desiderio sconfinato di adorare il suo Amato (Shiva) con il quale si fonde, distinguendosi da lui solo fino a consentirle di realizzare la propria gloriosa maestà, affinché quell’amore, insieme alla felicità universale, scaturiscano spontaneamente dalla loro reciproca attrazione.

Le danze aggraziate della sua bellissima amata, Kamakala, l’energia creatrice divina, attirano eternamente il cuore del suo amato, il supremo Shiva, che la desidera con un’intensità travolgente.” Così, i gesti teneri e voluttuosi di Shakti devono il loro fascino ammaliante alla presenza del suo Amato (Shiva), che la guarda sopraffatto dall’amore, e altrettanto i suoi movimenti seducenti risvegliano in lui un immenso ed infinito desiderio di fusione amorosa cosmica. L’energia divina (Shakti) appare come il puro specchio in cui Shiva si percepisce e ama infinitamente se stesso, riconoscendosi come il supremo e assoluto Sé trascendente.

Abhinavagupta illustra l’eterna offerta d’amore tra Shiva e la sua energia suprema nel terzo libro della sua opera fondamentale Tantraloka: All’interno dell’Assoluto stesso, Paramashiva, il Tutto Inesprimibile, si distingue la coppia (yamala) formata da akula (Shiva) e kauliki (Shakti), cioè Shiva-prakasha, la Luce cosciente nella sua unicità e l’energia di questa luce, Shakti-vimarsha, la forza fulminea dell’istantanea presa di coscienza, che ha come caratteristica l’espansione. Inseparabilmente uniti e rivolti nell’eternità l’uno verso l’altra, la loro reciproca contemplazione li riempie di una felicità inesauribile che ha la sua fonte in una perfetta conoscenza di sé.

L’unione vivente (samghatta) tra Shiva e Shakti rivela l’apparizione di una vibrazione creatrice (spanda) nell’unica essenza di Dio, essenza chiamata Sé Supremo (aham) o Cuore (hridaya), cuore in cui il desiderio d’amore appare successivamente in diversi stadi. Nel primo stadio di pura e illimitata beatitudine (ananda) Shiva, divenendo consapevole di Se stesso come vibrante Energia misteriosa, rimane in qualche modo passivo in Se Stesso, senza alcun desiderio o intenzione creatrice.

Poi, nello stadio della volontà (iccha shakti), il Suo primo impulso verso la manifestazione, comincia a intravedere l’intenzione creatrice divina o in altre parole l’amore di Dio per Se Stesso, che non è ancora a questo livello ma una semplice accettazione globale (abhyupagama) – l’amore per quella forma di esistenza in sé che si manifesta spontaneamente come stupore (camatkara) di fronte alla propria assoluta libertà. Abhinavagupta chiama questa nuova presa di coscienza “reciproca” (pratyavamarsa), perché Shiva, meno assorto nella propria beatitudine, aspira a distinguersi da essa per contemplarla meglio. E questo “io” che Shiva ama nel cuore stesso della felicità pura e universale, che poi desidera indefinitamente (senza differenziarla o delimitarla), sarà percepito dalla sua energia cognitiva (jnana shakti) nella forma del cosmo, un oggetto universale compreso in questa fase come ideazione nel Cuore di Dio e che, successivamente, si manifesta come tale attraverso la sua attività (kriya shakti) carica di efficienza.

Allo stadio del puro amore – lo stadio del puro desiderio o volontà creatrice (iccha) – l’aspirazione di Shiva alla beatitudine (ananda) rimane puramente interna, essendo completamente placata. Al contrario, quando sorge l’attaccamento a questa beatitudine cosmica, il desiderio è raddoppiato da un certo tipo di agitazione (prakshoba) e comporta quindi l’ombra di una deficienza, poiché l’esistenza del desiderio implica sempre prima di tutto mancanza e separazione. Ma se Shiva non si fosse allontanato, in un certo modo, dalla propria beatitudine (ananda), non si sarebbe sentito il bisogno di ritrovare la sua pienezza. Quest’ombra di imperfezione, prima fessura nell’Unità originaria, è ciò che dà all’amore (sia divino che umano, su tutti i suoi piani di manifestazione) la possibilità di esistere.

In copertina, Shiva nell’ipostasi dell’amante Uma