Il fondamento dell’evoluzione spirituale

Yama e Niyama sono i nomi con cui sono conosciute le 10 regole morali ed etiche del sistema yogico, così come appaiono menzionate negli Yoga Sutra, il trattato fondamentale del saggio Patanjali. Questi dieci principi di condotta devono essere appresi e osservati da tutti gli aspiranti yogi, siano essi principianti o avanzati. Sono il fondamento stesso della nostra evoluzione spirituale.

Così come una casa duratura ha bisogno di fondamenta solide, così le nostre aspirazioni spirituali devono basarsi, innanzitutto, sull’osservanza di norme etiche e comportamentali conosciute nella tradizione yogica come Yama e Niyama. La negligenza, l’indulgenza nella loro applicazione o la violazione ripetuta di qualcuna di esse ci espone al rischio di vedere vanificati i nostri sforzi spirituali, proprio come una casa rischia di crollare se uno dei suoi pilastri di resistenza viene a mancare o si indebolisce.

Yama (le regole di interazione con chi ci circonda) e Niyama (le regole di disciplina interiore) sono solo i primi due passi del sistema yoga, degli otto che Pantanjali descrive negli Yoga Sutra: 1. autocontrollo (yama); 2. restrizioni (niyama); 3. posture del corpo (asana); 4. controllo del respiro (pranayama); 5. ritiro dei sensi dal mondo esterno (pratyahara); 6. concentrazione mentale (dharana); 7. meditazione yogica profonda (dhyana), 8. stato supercosciente di estasi divina (samadhi).

Naturalmente tutti gli autentici percorsi spirituali comprendono anche precetti etici e morali simili a Yama e Niyama della tradizione yoga (i più famosi dei quali sono i dieci comandamenti biblici), ma la particolarità del sistema yoga è che offre anche soluzioni modi pratici molto efficaci per riuscire a mettere in pratica queste regole.

Il saggio Patanjali descrive nel famoso trattato Yoga Sutra i poteri paranormali che possono essere risvegliati nell’essere dello yogi seguendo rigorosamente le regole di Yama e Niyama.

YAMA

Le Yama, ovvero le regole morali che devono sempre prevalere nel pensiero, nella parola e nell’azione nell’interazione con gli altri, sono:

  1. AHIMSA (non violenza o rispetto per la vita),
  2. SATYA (osservanza della verità),
  3. ASTEYA (non rubare o rispettare la proprietà altrui),
  4. BRAHMACHARYA (continenza o moderazione)
  5. APARIGRAHA (assenza di desideri malvagi e avidità, non possessività o non accumulo).

AHIMSA (non-violenza)

La parola sanscrita ahimsa è composta dalla vocale “a” che significa “non” e “himsa” che significa “uccisione” o “violenza”. Letteralmente ahimsa significa quindi “non violenza”, ma è molto più di una semplice esortazione a non uccidere. Questo atteggiamento morale implica non danneggiare o arrecare danno – in alcuna forma – ad alcun essere. Non con azioni o gesti, ma nemmeno con parole, toni e nemmeno pensieri.

Dobbiamo prendere coscienza che la violenza nasce dalla paura e dalla debolezza. Siamo viola quando sono minacciati la nostra vita, i nostri beni, i nostri interessi o l’immagine che vogliamo mantenere davanti agli altri. L’osservanza dell’ahimsa diventa possibile solo quando riusciamo a liberarci in una certa misura dalla paura, inclusa la paura della morte.

Ahimsa, tuttavia, non significa passività di fronte al male. Dobbiamo opporci al male del malfattore, ma non al malfattore stesso, proprio come una madre può punire il figlio che ha sbagliato senza smettere di amarlo. In definitiva, ahimsa ci aiuta a raggiungere uno stato d’amore verso tutti gli esseri, con i quali ci sentiamo poi misteriosamente connessi in un gigantesco Tutto.

SATYA (rispetto della verità)

Satya significa “verità” in sanscrito. Questa fondamentale regola di condotta ci impone di dire solo e soltanto la verità, di essere autentici in tutto ciò che facciamo e di non ingannare né noi stessi né gli altri. In altre parole, non pronunciamo alcuna affermazione che sappiamo essere falsa, non usiamo espressioni equivoche, non facciamo supposizioni dogmatiche o esagerate, non diamo giudizi affrettati o distorti. Essere uno yogi è sinonimo di essere un ricercatore della Verità Divina Ultima. Da questo punto di vista, la violazione di questo principio produrrebbe una grave contraddizione e allontanerebbe l’aspirante dal suo stesso obiettivo.

Tuttavia, la verità non dovrebbe essere usata in modo distruttivo. Se lo dicessimo per ferire qualcuno, sarebbe una violazione del principio di non violenza. In questa situazione, o ogniqualvolta non disponiamo di informazioni sufficienti o di prove indiscutibili, è preferibile tacere.

ASTEYA (non-furto)

Asteya si traduce come “non rubare”. Sappiamo tutti, almeno in teoria, cosa significa “non rubare”. Ma, a parte il divieto assoluto di appropriarsi di oggetti o valori che non ci appartengono, asteya implica anche l’assenza di avidità, o in altre parole di “non desiderare” i beni altrui. Implica l’onestà, l’onore e un certo senso di giustizia, che ci spinge a dare né più né meno del necessario.

BRAHMACHARYA (continenza o moderazione)

Brahmacharya significa continenza, morigeratezza, moderazione in una certa direzione, anche con il senso di astinenza o concentrazione spirituale. Brahmacharya presuppone il pieno controllo su tutte le energie dell’essere, soprattutto sull’energia creativa e sessuale. Questa limitazione ha lo scopo di preservare il potenziale sessuale, per trasmutarlo e sublimare questa energia sessuale in forme di energia più elevate (energia di volontà o di azione, energia affettiva, energia mentale o anche spirituale).

Gli operatori possono optare per una delle due opzioni:

  1. astinenza sessuale attiva, che comporta la rinuncia all’attività sessuale, ma con la realizzazione di specifiche tecniche di yoga che aiutano a sublimare questa energia, oppure
  2. continenza sessuale amorosa, che comporta il compimento dell’atto erotico all’interno di una coppia basato sull’amore reciproco, ma in completa assenza di eiaculazione nel caso dell’uomo o di specifica scarica fisiologica, nel caso della donna.

APARIGRAHA (non possessività, non accumulo)

Il quinto atteggiamento fondamentale di Yama, aparigraha o non accumulo, non possessività, implica il non accumulare beni materiali di cui non abbiamo realmente bisogno. In altre parole, evitiamo di accumulare sempre più oggetti materiali, che non fanno altro che ingombrare e complicare inutilmente la nostra vita. Possiamo anche donare ad altri gli oggetti che non utilizziamo più, per evitare che si accumulino attorno a noi.

Attualmente esiste una vera e propria “malattia” della società moderna, chiamata consumismo o “shopping-mania”. Siamo spinti dalla pubblicità onnipresente e ossessiva a comprare sempre di più, l’ultimo modello, gli ultimi miglioramenti, ecc. Lo yogi deve coltivare una moderazione in questo senso, un senso della misura e uno stato di modestia, essendo consapevole che i veri valori a cui vale la pena aspirare sono spirituali, e non materiali.

NYAMA

Le regole della disciplina interiore, Niyama, comprendono 5 pratiche, atteggiamenti o regole di vita:

  1. SAUCHA (pulizia, purezza a tutti i livelli),
  2. SANTOSHA (contentezza),
  3. TAPAS (sforzo ardente, disciplina interiore),
  4. SVADHYAYA (studio delle scritture sacre),
  5. ISHVARAPRANIDHANA (devozione, devozione a Dio)

SAUCHA (pulizia, purezza)

La purezza è un’aspirazione fondamentale nello yoga. Il raggiungimento stesso dello stato di perfezione spirituale è sinonimo di una completa purificazione dell’essere dell’aspirante. Saucha comprende sia tecniche di purificazione del corpo che di purificazione della mente e delle strutture sottili.

La purificazione del corpo implica la pulizia esterna, le tecniche yogiche di purificazione interna (vamana dhauti, shank prakshalana), ma anche le linee guida dietetiche. Saucha significa che il cibo è puro e il più naturale possibile, escludendo carne, alcool, caffè o zucchero in eccesso. Ovviamente si consiglia di rinunciare completamente al tabacco e ad altre droghe.

A livello della mente, l’aspirante deve perseguire una continua “igiene mentale”, che comporta la scomparsa dei pensieri negativi di depressione, odio, gelosia, invidia, rabbia, disperazione, ecc., coltivando pensieri luminosi, sereni, affettuosi, pieno di distacco. In questo senso le tecniche yogiche di concentrazione mentale e di meditazione sono di reale utilità.

SANTOSHA (contentezza)

Santosha implica coltivare uno stato di serenità e pace mentale, di costante appagamento, indipendentemente dalle circostanze esterne. In altre parole, è la capacità di mantenere uno stato di uguaglianza, di contentezza, sia nel bene che nel male. L’insegnamento yogico crede che l’insoddisfazione sia un’espressione di ignoranza. Il saggio sa che qualunque circostanza, anche quella apparentemente sfavorevole, è in fondo solo un’occasione per migliorarsi, per imparare una lezione di vita. Attraverso santosha miriamo a diventare uguali sia nel fallimento che nel successo, sia nella lode che nella critica, secondo il detto: “Hai avuto successo? Continua! Non ci sei riuscito? Continua!”

La pratica di santosha libera l’essere dai condizionamenti esterni. L’aspirante non spreca più tempo ed energie con rimproveri e rimpianti legati ad un passato che non può cambiare, né con desideri irrealistici o proiezioni fantasmagoriche legate ad un futuro incerto.

TAPAS (disciplina interiore, sforzo ardente e perseverante)

La parola sanscrita tapas ha come radice la parola “tap” che significa bruciare, essere consumato dal fuoco. Il terzo atteggiamento fondamentale di Niyama si riferisce alla necessità di una disciplina sicura di sé, di uno sforzo ardente, costante e perseverante. I tapas possono comportare sia il compimento quotidiano di azioni benefiche (tecniche yogiche, meditazione, preghiera, ecc.) per un periodo di tempo prestabilito, ma anche la rinuncia a qualcosa di disarmonico o di disturbo, come una cattiva abitudine o un vizio.

Un tapas eseguito correttamente e completato dona al praticante una grande forza interiore e un notevole incremento della sua volontà. Come suggerisce il nome, tapas “brucia” il karma negativo del praticante, o in altre parole le conseguenze (altrimenti inevitabili) delle sue cattive azioni passate. Come, analogicamente parlando, i vasi di terracotta hanno bisogno di essere messi al fuoco per diventare resistenti, lo yogi tempra il suo carattere nel “fuoco” dei suoi tapas, della disciplina che egli stesso assume.

Tapas può riferirsi al corpo, come l’esecuzione quotidiana di determinate posture del corpo (asana) o esercizi di respirazione (pranayama), il digiuno o il riposo alimentare, o la rinuncia al fumo, alla carne, ecc. Non parlare per un periodo di diverse ore o più è anch’esso una forma di tapas, finalizzato a controllare meglio in seguito ciò che diciamo. Esercizi di concentrazione mentale, meditazione o preghiera sono forme di tapas dell’intelletto, che mirano a purificarlo da pensieri o atteggiamenti mentali negativi.

SVADHYAYA (studio delle scritture sacre)

In sanscrito “sva” significa “sé” e “adhyaya” significa “educazione” o “studio”. Svadhyaya implica quindi un’autoeducazione costante e continua. Ciò si ottiene sia attraverso lo studio delle sacre scritture, gli autentici insegnamenti spirituali dei grandi saggi di questo pianeta, sia attraverso un’attenta autoanalisi del proprio essere (esperienze, emozioni, atteggiamenti, abitudini, reazioni, ecc.). Svadhyaya è più di una semplice lettura di scritti di saggezza tradizionale. Si tratta infatti di una loro profonda assimilazione, meditando attentamente sulle verità contenute in queste opere, come: il Nuovo Testamento della Bibbia, il Tao Te Ching – trattato fondamentale della tradizione taoista, i trattati yogici fra cui il Gheranda Samhita, lo Yoga Sutra di Patanjali, Bhagavad Gita, Shiva Samhita, Hatha Yoga Pradipika ecc.

Svadhyaya libera la mente dall’ignoranza, dalla mezza dottrina e dalla confusione, elevandola all’altezza della genuina conoscenza spirituale e preparandola per l’illuminazione spirituale. Da quel momento l’aspirante potrà fare a meno di questi aiuti esterni, ritrovando dentro di sé tutta la saggezza.

ISHVARAPRANIDHANA (devozione, devozione a Dio)

La parola sanscrita Ishvara significa “Dio”, e “pranidhana” significa “devozione ininterrotta” o “donazione incondizionata di sé”. Ishvarapranidhana significa quindi la consacrazione o dedizione a Dio di tutti i frutti delle nostre azioni, delle nostre esperienze, delle nostre aspirazioni e dei nostri pensieri. Implica l’unione della coscienza con il cuore in Dio, in uno stato di totale devozione ad un ideale sublime, supremo. Dovrebbe essere realizzato quasi in ogni momento, ma soprattutto attraverso la consacrazione e la preghiera a Dio all’inizio di ogni giornata o prima di qualsiasi azione importante.

Attraverso la pratica di questa disciplina, i desideri inferiori vengono sostituiti da pensieri sublimi, su e per Dio. La sua riuscita realizzazione fa nascere un potere benefico infinito. Porta anche all’illuminazione spirituale.